mercoledì 22 ottobre 2008

Verso un architettura!...non ipogea...però ca**o


Nei commenti al post precedente, per chi non li avesse letti, si è, tra le cose, parlato di quella che ormai a noi piace definire architettura "pornografica" portando tra gli esempi l'architettura stravagante degli MVRDV a Madrid (il Mirador) in contrapposizione ad un'architettura spagnola più discreta e meno invasiva.

Questo edificio è un ottimo esempio di quella che mi sembra stia diventando una tendenza diffusa, un architettura pornografica, a prescindere da stile e "agghindamento", nella sua scala.
Un'architettura che sembra avere la pretesa di risolvere il problema di una periferia anonima grazie al suo salto di scala rispetto al contesto (Voglio precisare che le mie osservazioni si riferiscono esclusivamente alla sua scala rispetto al contesto,trovo altresì l'edificio molto interessante per molteplici motivi). Mi sembra voglia proporsi con la sua immagine come elemento di identità per il quartiere.Ma può una sola immagine, per quanto visibile, diventare elemento identitario per una comunità, senza essere accompagnata da una funzione sociale o di memoria storica o non so cos'altro?O un edificio residenziale, per quanto interessante, rimane sempre e solo un edificio residenziale, al massimo capace di diventare un elemento utile al solo orientamento?
Il progetto sembra essere un travisamento della cultura della congestione di koolhaas (ma di questo non sono per niente certo, la sto approfondendo in questo periodo).
Penso che per riqualificare le aree metropolitane delle nostre città sia più auspicabile trovare soluzioni ripetibili e che non presuppongano la loro unicità.

Questo edificio è esemplificativo di un modo di fare architettura oggi, dove la visibilità è tutto. Se non sei visibile non esisti (vedi proliferazione di blog personali e social network) e molti architetti , complici le amministrazioni committenti, hanno la presunzione di impiantare i loro arroganti e alieni totem autoreferenziali senza pensare che questi verranno poi subiti per decenni da una miriade di persone.

Il mio discorso è provocatoriamente esasperato, e non penso certo che dovremmo fare solo architetture ipogee, penso solo che sia importante fermarsi a riflettere su quanto e in quali casi sia lecito fare interventi di landmark.

P.S. L'idea di collegare la terrazza del 12 piano del Mirador direttamente a terra per renderla accessibile al pubblico sembra sia stata abbandonata.

Adesso torno a leggere topolino...

7 commenti:

Maurizio Arturo ha detto...

Domo, leggere Koolhaas ti ucciderà!
hi hi hi
Non ho visto questo edificio di persona, lo conosco solo tramite foto e google Earth, e proprio guardandolo dal satellite, ho notato la sua ombra proiettata e sono rimasto un po' perplesso.
La zona offre ancora parecchi lotti liberi, e non vorrei mettermi nei panni di chi dovrà progettare gli edifici che chiudano il cerchio descritto dalla maglia urbanistica del quartiere.
Ma non mi va di criticare il Mirador (magari fosse uscito dalla mia matita un progetto del genere).
Ma voglio criticare i LandMark, almeno quelli fini a se stessi.
Riallacciandoci al post: La pubblicità? Ha bisogno di pubblicità". Credo che le cose siano degenerate dall'esposizione universale di Parigi, o meglio dalla sua chiusura, quando si decise di lasciare una delle 4 torri di accesso(le altre 3 tanto erano di legno) come "simbolo", la Torre Eiffel (il più grande parafulmini del mondo). Oramai è impossibile pensare a Parigi e non alla Torre Eiffel, e con tutta la storia che ha avuto la capitale della Francia (mica San Marino)...bè, mi sembra un po' riduttivo...è come se pensando a Roma venisse subito in mente il Colosseo Quadrato.
Il mio è solo un'esempio, in fondo neanche ai francesi piaceva la Torre Eiffel, gli è iniziata a piacere quando sono arrivati i turisti. In teoria doveva essere smantellata per il 1920, poi il ministero della difesa ha deciso di tenerla come ponte radio.
Sta di fatto che era un landmark discusso, non sarebbe mai sopravvissuto se fosse stato per gli architetti e i cittadini di Parigi, eppure......

Anonimo ha detto...

Carissimo..concordo perfettamente con te nel non trovare adatto l'utilizzo dei Landmarks nelle preiferie, perchè non servono.
Il Landmark è utile come punto di riferimento all'interno di una città consolidata, dove ci si perde facilmente, deve essere una guida( come diceva il mitico Kevin Lynch)ma nelle periferie rischia di diventare un macrosegno con la volontà di ricucirsi alla città quantomeno visivamente!
Marco

Anonimo ha detto...

La questione dell'impatto di certi tipi di edifici sull'aspetto urbanistico e paesaggistico è di vitale importanza per qualsiasi architetto.
Io sono del parere che un edificio costruito a Roma nei pressi del tevere non vada bene spostato a Venezia sul canal Grande .
Con questo esempio banale voglio dire che non possiamo ragionare guardando l'opera architettonica oscurandone il contesto , sarebbe come leggere una poesia senza rendersi conto dll'aspetto storico sociale alla base.
La Tour Eiffet penso che all'epoca , quando fu edificata , doveva essere qualcosa di sensazionale , di mai visto prima .
Tuttavia la Tour Eiffel , per quanto potesse essere qualcosa di nuovo era comunque una struttura innanzitutto smontabile , ma ad ogni modo integrabile col luogo in cui l'avevano posta .
Penso ancora , al centro direzionale di Napoli , dove fra tanti grattacieli interessanti spicca sempre quello dove prevale un certo volersi mettere in mostra ai danni però del paesaggio risultante che ne rimane leso indubbiamente.
C'è bisogno di maggiore responsabilità e di pensare alla sostenibilità di ciò che si costruisce . Pensare non solo all'oggi , ma anche al domani .

Maurizio Arturo ha detto...

Mi sembra interessante citare Adolf Loos, ma decontestualizzando (totalmente) l'ammonimento che rivolgeva agli Austriaci troppo legati al passato:"Come ci si deve vestire?...In modo moderno....Quando si è vestiti in modo moderno?...Quando non si dà nell'occhio."
Capisco che non sia proprio calzante, ma con un po' di interpretazione....non si sa mai.

domo ha detto...

Il centro direzionale di Napoli è un ottimo esempio, ci vado molto molto spesso (a Napoli, non al centro direzionale!) e ho ben presente la situazione.E' una città straordinaria, unica al mondo, di una bellezza incalcolabile e il centro direzionale è un obbrobrio!un alieno arrivato da chi sa dove e atterrato in un punto a caso..potrebbe essere lì o in qualsiasi altra parte del mondo, credo che sia stato un vero peccato di presunzione assumersi la responsabilità di fare un intervento così violento in una città così bella, un tipo di intervento che neanche funziona,è già superato.(so che appena chiudono gli uffici diventa un ricovero per senza tetto e per malaffari.
Anche se devo dire che trovo anche affascinante l'idea di un segno verticale forte in mezzo all'orizzontalità del panorama di Napoli visto dal vomero o non so...dalla tangenziale venendo da Pozzuoli( mi do un tono facendo vedere che la conosco!ihih),ma non certo questo agglomerato di grattacieli!E comunque è solo un'opinione, magari neanche mi piacerebbe...ho un'idea chiara di che tipo di landmark non va fatto, ma non ho una teoria su quelli che andrebbero fatti...voi che ne pensate?
Maurizio, leggere Loos ti ucciderà!eheh
..e la mente corre al suo progetto per il grattacielo a forma di colonna con capitello........

Maurizio Arturo ha detto...

In effetti la storia del LandMark e della "città aperta" nasce dagli Austriaci (dalla Ringstrasse della Vienna dei metà '800), almeno a detta di una prof. che preferisco non citare.
Magari Loos sapeva già come sarebbe andata a finire, e ha mandato il Raumplan per punirci!

Ma non è che conoscere già (tutti) i progetti migliori, e se non li si conosce poterli vedere già da lontano, abbia tolto qualche cosa alla nostra materia? Fosse anche solo la scoperta e lo stupore, nel trovarsi per esempio improvvisamente ai piedi del Colosseo o in Piazza San Pietro.

Siamo troppo smaliziati da libri e riviste che ci svelano tutti i minimi particolari delle opere (anche le più insignificanti), non ci stupiamo più di nulla, non solo "noi del settore", ma tutti.

Anonimo ha detto...

Ho letto questo intervento qualche giorno fa, avevo pensato di scrivere a riguardo, ma le mie tavole aspettavano di essere finite -___-‘ Be’ mi ero fatta un’idea, cioè concordavo con quanto scritto e cioè che forse usare delle forme così uniche, particolari ed irripetibili per un edificio residenziale, forse non sia la strada giusta per riqualificare quel luogo. Ebbene, ho dovuto ricredermi. Sono andata a Pomezia, per un sopralluogo per il progetto di laboratorio. Ho visto la città, il terreno, gli edifici che lo circondavano… Si tratta edifici residenziali (anche molto belli, devo dire, ben curati) caratterizzati per l’uso dei mattoni rossi; sono diversi tra loro, ma proprio la ripetizione del rosso e del grigio chiaro del cls, li rende un po’ tutti uguali.
E dopo aver visto tutto questo, ho capito che effettivamente un’architettura frattale poteva avere senso. Il progetto, infatti, deve avere come riferimento un frattale (una forma geometrica frutto della ripetizione di uno stesso elemento in diverse scale e in diverse direzioni nello spazio, alla cui base vi sono algoritmi matematici), ed inizialmente, sia io che i miei colleghi, eravamo alquanto scettici sul risultato che ne sarebbe uscito. Ovviamente avendo visto esempi degli studenti degli anni passati, non abbiamo potuto far altro che ammirare quelle forme sensazionali, sebbene, una scia di scetticismo continuasse ad accompagnarci. Anche io ero convinta che un’architettura del genere, nel bel mezzo di quegli edifici residenziali, non potesse sembrare altro che una navicella spaziale che nulla poteva averci a che fare!!
Non so ancora gli altri, ma io ho cambiato idea, mi sembra che il frattale sia proprio quel che ci voglia. Mentre mi trovavo al centro del terreno mi sono detta: “qui ci vuole un’architettura che faccia rumore!”… ed è quello che tenterò di fare J
Quindi, concludendo, non credo che forse sempre un male “stravolgere” le regole, uscire fuori gli schemi… quanto al salto di scala… be’ ti do ragione!

Nicoletta